Glaciazione dei bond sostenibili
- SR
- 24 mag
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Nel maestoso scenario della finanza globale, i green bond – titoli obbligazionari concepiti per finanziare progetti a impatto ambientale positivo – hanno raggiunto nel 2024 un traguardo storico: oltre 5.000 miliardi di dollari in emissioni cumulative. Un risultato che, almeno in apparenza, potrebbe suggerire una parabola ascendente e inarrestabile del settore. Tuttavia, al di là dell’impressionante volume nominale, il mercato dei bond sostenibili si trova oggi a fronteggiare una fase di raffreddamento sistemico, che alcuni analisti non esitano a definire una vera e propria glaciazione.
Una crescita che nasconde il gelo
Secondo gli ultimi dati del report “GSS Bonds Market Trends” di MainStreet Partners, solo nella prima metà del 2024 sono stati emessi green bond per un valore record di 356 miliardi di dollari, con l’Europa saldamente in testa (291 miliardi, +13% su base annua). I green bond costituiscono circa il 57% delle emissioni totali di strumenti GSS (Green, Social and Sustainability bond), confermando il loro ruolo guida nel panorama della finanza sostenibile.
Eppure, tale dinamismo settoriale si scontra con un dato preoccupante: la quota dei bond sostenibili sul totale delle emissioni obbligazionarie globali è scesa all’11% nel 2024, rispetto al 15% del 2023. Questo arretramento relativo, pur in un contesto di crescita assoluta, suggerisce un disinnamoramento progressivo da parte di una parte del mercato.
Il gelo americano: il ritorno di Trump e le nuove politiche deregolamentanti
A fungere da catalizzatore di questa fase di stasi è, in buona parte, il nuovo scenario politico internazionale, in particolare il ritorno di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti. Le prime mosse del suo esecutivo hanno avuto un impatto tangibile sul settore ESG:
Recesso dagli impegni climatici multilaterali, inclusa un’ulteriore erosione dell’adesione all’Accordo di Parigi;
Tagli agli incentivi per le energie rinnovabili e promozione attiva dei combustibili fossili;
Riforme della SEC che hanno aumentato gli obblighi per gli investitori ESG e ridotto l’attrattività degli strumenti sostenibili per gli emittenti statunitensi.
La stretta normativa e il clima ideologico avverso alla sostenibilità hanno avuto come conseguenza immediata la contrazione delle nuove emissioni negli Stati Uniti, storicamente uno dei mercati trainanti del comparto. In tale contesto, il peso globale dell’Europa è aumentato – non tanto per un’espansione aggressiva, quanto per un vuoto lasciato dalla ritirata americana.
Le faglie geopolitiche e il dilemma degli investitori
Accanto ai mutamenti politici, anche l’instabilità geopolitica e l’impennata dei tassi di interesse hanno concorso a raffreddare l’entusiasmo verso i bond sostenibili. L’orientamento degli investitori si sta spostando verso strumenti più liquidi, meno vincolati e con rendimenti immediati più elevati, spesso a scapito dell’orizzonte di lungo termine che la finanza green inevitabilmente richiede.
Nonostante ciò, l’interesse strutturale verso le obbligazioni GSS non è affatto tramontato. Come sottolinea Jessica Zarzycki di Nuveen, “probabilmente nel 2024 supereremo la soglia dei 1.000 miliardi di dollari in emissioni GSS, con l’Europa a rappresentare circa il 50% del mercato.” Degna di nota è l’ascesa dell’Asia, dove la Cina si conferma leader regionale, seguita da Corea del Sud e Giappone – quest’ultimo ha emesso a febbraio il suo primo green bond sovrano da 12 miliardi di dollari.
Oltre il freddo: prospettive per il futuro
Ronald Van Steenweghen, gestore di fondi obbligazionari per Dpam, sottolinea come “una spiccata trasparenza, un impegno proattivo degli investitori e l’allineamento con un’azione credibile verso il net-zero appaiono essenziali per il rilancio del comparto.” La credibilità e la coerenza delle politiche pubbliche saranno il vero ago della bilancia: in assenza di una governance solida e stabile, il mercato rischia di frammentarsi ulteriormente.
In prospettiva, è verosimile attendersi una polarizzazione geografica del mercato: da un lato, l’Europa e alcune economie asiatiche continueranno a rafforzare i propri quadri normativi e strumenti finanziari per sostenere l’azione climatica; dall’altro, mercati meno sensibili o ostili alla transizione rischiano di perdere terreno competitivo e reputazionale.
La "glaciazione" dei bond sostenibili non rappresenta un crollo, ma piuttosto un raffreddamento selettivo, effetto combinato di incertezze politiche, pressioni normative e dinamiche macroeconomiche. Ciò che è in gioco, tuttavia, non è solo una questione di portafogli o spread, bensì la capacità collettiva di orientare i capitali verso un futuro resiliente, equo e decarbonizzato. Se il vento della storia cambierà di nuovo direzione, toccherà agli investitori – pubblici e privati – riconoscere che la finanza sostenibile non è un lusso da tempi di bonaccia, ma un’ancora di salvezza in tempi di tempesta.
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