Irene Gilbert: la nonna ambientalista che blocca l’energia verde in Oregon
- SR
- 19 ore fa
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In un angolo rurale dell’Oregon, una donna di 76 anni è diventata la spina nel fianco dei colossi dell’energia rinnovabile. Si chiama Irene Gilbert, vive a La Grande, ed è tutto tranne che una tipica attivista. Ex dipendente statale, ex proprietaria di un’armeria, appassionata cacciatrice di alci e repubblicana convinta. Eppure, oggi si batte – senza sosta – contro l’espansione di parchi eolici e linee elettriche ad alta tensione che, a suo dire, minacciano il paesaggio e la qualità della vita nelle aree rurali.
Ma Irene non protesta con striscioni. Lei usa la legge. Anzi, un sistema normativo nato negli anni ’70 per fermare le centrali nucleari… e che oggi si ritorce contro le energie rinnovabili.
Tutto comincia decenni fa, quando l’Oregon – in pieno fermento antinucleare – crea un sistema molto rigido per autorizzare nuovi impianti energetici. L’obiettivo? Frenare il nucleare. E in effetti, dopo la costruzione della centrale Trojan, non se ne costruì mai un’altra.
Nessuno avrebbe potuto immaginare che, 50 anni dopo, quello stesso sistema sarebbe stato usato per ostacolare pale eoliche e impianti solari. E a farlo non è un’organizzazione strutturata, ma una signora con un laptop, una grande conoscenza dei regolamenti statali… e una volontà di ferro.
Dal primo scontro ad oggi
Nel 2009, Irene scopre che una compagnia vuole installare 180 turbine nella Valle del Grande Ronde, vicino a casa sua. È l’inizio della sua crociata. Studia leggi, partecipa alle audizioni pubbliche, invia lettere minacciose (legalmente) al governatore. Il progetto viene abbandonato nel 2013.
“Dicono sia stato per motivi economici. Ma io credo che il nostro impegno abbia fatto la differenza” racconta oggi.
Negli anni successivi, i progetti aumentano. E Irene risponde colpo su colpo: 15 sfide formali, decine di opposizioni, centinaia di ore di lavoro volontario. La più grande? Il famigerato Boardman to Hemingway (B2H), una linea elettrica lunga 480 km pensata per trasportare energia dall’Idaho all’Oregon occidentale.
Il progetto è cruciale per lo sviluppo dell’energia verde. Ma per Irene è una ferita nel territorio. Così fonda il gruppo Stop B2H, che raccoglie più di 350.000 dollari in donazioni e presenta 117 opposizioni formali.
Una nonna con il laptop (e le idee chiare)
La forza di Irene sta nella sua preparazione. Ha lavorato per anni nella pubblica amministrazione, dove insegnava proprio come interpretare leggi e regolamenti. Così, il complesso sistema dell’Energy Facility Siting Council non la spaventa.
“Mi tiene la mente attiva” dice con un sorriso. Lavora da casa, circondata dai disegni dei suoi nipoti. Studia, scrive, argomenta. E spesso, aiuta anche altri cittadini a presentare le proprie opposizioni. Gratis.
Irene non si oppone all’energia pulita in sé. Ha un impianto solare sul tetto della sua baita. Ha persino sostenuto un parco solare nella Columbia River Gorge, quando i promotori hanno ascoltato le esigenze della comunità. Ma non crede nelle mega-infrastrutture che occupano chilometri di territorio agricolo.
“Non possiamo sacrificare tutto il terreno coltivabile per produrre energia. Dove coltiveremo il cibo?”, chiede.
Intanto, mentre Irene rallenta i progetti, in molti iniziano a porsi domande. Perché l’Oregon, uno Stato così progressista, è in ritardo sulle rinnovabili? Secondo gli esperti, proprio a causa delle lunghe e complesse procedure autorizzative che Irene ha imparato a usare meglio di chiunque altro.
La risposta della politica? Divisa. Alcuni, come il deputato Mark Gamba, hanno provato a limitare le opposizioni pubbliche nei processi autorizzativi. Ma le proteste sono state forti. Anche perché Irene non è sola: ha il sostegno di agricoltori, conservazionisti e persino di alcuni Democratici.
Dietro la determinazione di Irene c’è anche una storia familiare dolorosa. Due dei suoi fratelli sono morti per la malattia di Huntington. Lei, che non l’ha ereditata, si sente in dovere di fare qualcosa di significativo.
“Cerco di compensare quello che loro non hanno potuto fare,” racconta. Il suo obiettivo? Dare voce a chi vive nelle aree rurali e non vuole essere schiacciato dalle decisioni prese altrove.
E ora? Ancora battaglie all’orizzonte
Ora che la linea B2H è ufficialmente in costruzione, nuovi progetti stanno arrivando a valanga. E Irene è pronta.
“Sarò molto occupata” dice.
Anche se non ha mai vinto del tutto una causa, ha rallentato decine di progetti. E continuerà a farlo.
La storia di Irene Gilbert solleva una domanda scomoda ma necessaria: può la transizione ecologica ignorare chi vive nei territori? Le sue battaglie non sono solo contro turbine o cavi elettrici, ma contro un’idea di progresso che – spesso – non ascolta chi ci vive dentro.
Sarà forse una “vecchia signora con un computer”. Ma Irene Gilbert, da sola, ha costretto l’Oregon – e l’America – a fare i conti con le contraddizioni della sua transizione verde.
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