Greenwashing Adidas: la sostenibilità non è questione di marketing
- SR
- 10 apr
- Tempo di lettura: 2 min

Nel mondo di oggi, parlare di sostenibilità sembra (quasi) obbligatorio. Ogni brand che si rispetti ne fa un pilastro della propria comunicazione. Ma quante di queste promesse sono vere? Quante sono supportate da piani concreti, misurabili, trasparenti? E quante invece si rivelano essere solo “parole verdi” usate per attirare clienti sensibili all’ambiente?
Il caso recente di Adidas, condannata in Germania per pubblicità ingannevole legata ai suoi obiettivi di neutralità climatica, è emblematico. Il tribunale di Norimberga-Fürth ha stabilito che l’azienda non ha spiegato chiaramente come intenda raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e ha ordinato la rimozione di tale claim promozionale.
Sostenibilità: tra buone intenzioni e promesse vuote
Adidas dichiarava sul proprio sito: “Saremo climaticamente neutrali entro il 2050”.
Un messaggio forte, rassicurante. Ma dietro? Poca sostanza, secondo i giudici tedeschi. Nessuna indicazione chiara se l’obiettivo sarà raggiunto attraverso una reale riduzione delle emissioni o semplicemente tramite l’acquisto di certificati di compensazione (i famosi carbon credit - crediti di carbonio).
E qui nasce il problema: compensare non è ridurre.
Pagare qualcuno per piantare alberi mentre si continua a inquinare non è sostenibilità, è outsourcing della coscienza ambientale.
La compensazione può essere uno strumento utile, ma solo alla fine di un percorso fatto di riduzione strutturale, cambiamenti profondi e misurabili nella produzione, nella logistica e nel modello di business.
Il greenwashing non è più impunito
Non si tratta più solo di una questione etica o reputazionale: oggi il greenwashing si paga, anche in tribunale. La sentenza tedesca apre la strada a un nuovo scenario, dove aziende e istituzioni sono chiamate a rispondere legalmente delle loro affermazioni ambientali.
In parallelo, nel Regno Unito, la Competition and Markets Authority (CMA) ha ottenuto dal 6 aprile 2025 poteri rafforzati: potrà imporre multe fino al 10% del fatturato globale alle aziende che fanno affermazioni ambientali false o fuorvianti. Una vera e propria stretta al marketing “green” usato come specchietto per le allodole.
Dalla comunicazione alla compliance
La sostenibilità non può più essere trattata come una semplice casella da spuntare su un piano marketing. Serve una rivoluzione culturale, organizzativa e strategica. Serve:
Trasparenza: raccontare come si raggiungeranno gli obiettivi.
Responsabilità: legare gli obiettivi a dati, risultati, audit indipendenti.
Coerenza: rivedere processi, fornitori, materiali, trasporti.
Onestà: ammettere che la neutralità climatica non si ottiene in un post Instagram.
Come sottolinea anche la direttiva europea Green Claims, in arrivo nel 2025, non ci sarà più spazio per promesse vaghe. I claim ambientali dovranno essere documentati, verificabili e significativi.
Il caso Adidas è un monito per tutte le aziende: le parole non bastano più. Non è sufficiente scrivere “green”, “eco” o “carbon neutral” sulle etichette o nei comunicati stampa. Serve agire davvero, e raccontarlo in modo chiaro, onesto, concreto.
Perché la sostenibilità vera è fatta di fatti. E il futuro del pianeta — e dei consumatori — non può aspettare slogan ben confezionati ma vuoti di contenuti.
Se sei un’azienda e vuoi davvero comunicare la tua sostenibilità in modo conforme, trasparente e credibile, fallo con metodo e rigore.
Le scorciatoie, oggi più che mai, non portano lontano.
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