Il decalogo del professionista della sostenibilità
- SR
- 17 giu
- Tempo di lettura: 2 min

Negli ultimi anni la sostenibilità è passata dall’essere un tema di nicchia a una priorità strategica per imprese, istituzioni e investitori. Ma mentre gli standard si moltiplicano, le normative evolvono e l’attenzione mediatica cresce, un interrogativo resta centrale: che cosa significa, oggi, essere un vero professionista della sostenibilità?
Non si tratta solo di redigere bilanci ESG o tenere corsi sul cambiamento climatico. La figura del sustainability manager — o più in generale del professionista in ambito sostenibile — è diventata un ruolo trasversale, che richiede competenze tecniche, visione sistemica, e soprattutto una forte responsabilità etica e strategica.
Dalle competenze tecniche alla visione d’impatto
Un buon professionista della sostenibilità deve padroneggiare strumenti tecnici complessi: analisi di materialità, LCA (Life Cycle Assessment), KPI ambientali e sociali, normative europee come la CSRD e la CSDDD, e framework internazionali (GRI, TCFD, TNFD, ISSB). Ma tutto questo non basta.
La competenza va accompagnata da senso critico e capacità di lettura del contesto.
In un mondo in continua trasformazione, è fondamentale distinguere ciò che ha un vero impatto da ciò che è puro adempimento formale. La sostenibilità non può ridursi a un esercizio di conformità: deve essere motore di innovazione, competitività e creazione di valore condiviso.
Collaborazione, ascolto e leadership
Una delle sfide principali di chi lavora nella sostenibilità è il coinvolgimento degli altri. Non si lavora “per” la sostenibilità, ma “con” tutta l’organizzazione. Questo richiede:
Empatia verso chi non conosce il tema.
Capacità di mediazione con funzioni aziendali differenti (HR, Finance, Operations, Marketing).
Leadership gentile, ma ferma.
Il professionista della sostenibilità deve saper tradurre obiettivi climatici, sociali o di governance in decisioni operative e modelli di business. Ed è qui che entra in gioco un nuovo tipo di leadership, che punta alla coerenza tra valori dichiarati e pratiche concrete.
Stop al greenwashing, sì alla trasparenza radicale
Con l’aumento dell’attenzione pubblica, il rischio di greenwashing è più alto che mai. Dichiarare impegni ambiziosi senza solide basi o senza dati verificabili mina la credibilità delle aziende — e con essa, quella dell’intero settore.
Il professionista della sostenibilità deve essere custode della verità. Anche quando è scomoda.
Questo significa promuovere una comunicazione onesta, accessibile, e verificabile, che non tema di raccontare anche gli aspetti ancora da migliorare. Perché la fiducia si costruisce con la trasparenza, non con lo storytelling.
Non una moda, ma una responsabilità
Infine, è bene ricordarlo: la sostenibilità non è un trend passeggero. È una responsabilità concreta verso l’ambiente, le persone e le generazioni future.
Essere professionisti in questo campo non significa solo fare carriera in un settore in crescita, ma contribuire a orientare scelte, risorse e strategie verso un mondo più giusto, equo e resiliente.
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