Turismo sostenibile: rigenerare luoghi, nutrire territori, lasciare eredità
- SR
- 11 ago
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In un mondo in cui il turismo rappresenta oltre il 10% del PIL globale (WTTC, 2024) e genera più di 330 milioni di posti di lavoro, la sostenibilità non può – e non deve – più essere ridotta alla mera mitigazione dell’impatto ambientale. È ormai imprescindibile estenderne la portata alla dimensione sociale, alla capacità di questo settore di restituire valore ai territori, alle persone e alle culture che lo rendono possibile. Nel tempo delle vacanze estive, mentre si riaccendono i riflettori sull’overtourism e sull’esaurimento dei luoghi di villeggiatura, diventa centrale interrogarsi sul lascito del turismo: cosa rimane davvero, quando il flusso dei visitatori si esaurisce?
Oltre l'impronta: il concetto di legacy
Secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO), il turismo sostenibile è quello che tiene conto “degli impatti economici, sociali e ambientali attuali e futuri”, rispondendo alle esigenze delle comunità ospitanti oltre che a quelle dell’industria turistica. In linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell’ONU, esso deve promuovere lavoro dignitoso (SDG 8), riduzione delle disuguaglianze (SDG 10), inclusione e resilienza urbana (SDG 11).
In questo quadro si inserisce il concetto, sempre più diffuso, di tourism legacy: un’eredità – tangibile o intangibile – che il turismo può lasciare alle comunità locali in termini di capacità, opportunità, benessere e valorizzazione culturale.
Dal 2023, il programma “Tourism for People and Planet” dell’UNWTO propone una visione sistemica e rigenerativa, che prevede la distribuzione equa dei benefici turistici. Anche il World Travel & Tourism Council, nel report Sustainability and Inclusive Growth (2024), ha evidenziato che le destinazioni che coinvolgono le comunità ottengono risultati superiori in termini di valore economico e fidelizzazione dei visitatori.
L’esempio virtuoso di Spighe Verdi
Un’iniziativa italiana che incarna concretamente questa filosofia è il programma Spighe Verdi, promosso da FEE Italia in collaborazione con Confagricoltura, che il 24 luglio 2025 ha premiato 90 Comuni rurali italiani con la certificazione di sostenibilità ambientale.
Questo riconoscimento, fondato su 67 indicatori e 16 macro-aree, valuta parametri quali l’uso del suolo, la qualità delle acque, la gestione dei rifiuti, la valorizzazione dell’agricoltura tipica e – in particolare – l’equilibrio nei flussi turistici e la promozione del turismo rurale.
L’obiettivo non è premiare, ma accompagnare un processo di crescita condivisa: lo ha sottolineato anche il presidente di FEE Italia, Claudio Mazza, ribadendo come Spighe Verdi sia “un percorso volontario, rigoroso e migliorativo, che coinvolge amministrazioni, cittadini e attori locali, al fine di armonizzare i flussi e ridurre la pressione sulle grandi città”.
Il Piemonte guida la classifica con 18 Comuni certificati, seguito da Calabria, Marche, Toscana, Umbria e Puglia. L’ingresso di 17 nuovi Comuni nel 2025 porta a 15 le regioni coinvolte, con una mappa sempre più rappresentativa delle aree interne del Paese.
Turismo e gastronomia: un ciclo rigenerativo
Un’altra forma potente di lascito è quella che si consuma – letteralmente – a tavola. Il turista consapevole può infatti sostenere le economie locali scegliendo di “votare con la forchetta”, premiando la filiera corta, la stagionalità e la qualità sostenibile dell’offerta enogastronomica.
Questo approccio, che unisce ecoturismo e economia circolare, permette di nutrire il territorio mentre si esplora, valorizzando il lavoro di agricoltori, allevatori, ristoratori e artigiani. Il ristoratore, dal canto suo, diventa ambasciatore del territorio, curando il menù come racconto stagionale e culturale, adottando pratiche zero waste e riducendo l’impronta ambientale del proprio locale.
Il lascito globale: Bhutan, Costa Rica, Nuova Zelanda
Nel panorama internazionale, non mancano esempi emblematici. In Bhutan, la politica turistica “High Value, Low Volume” ha reso il Paese un modello di turismo a basso impatto e alto valore culturale. In Costa Rica, lo standard CST – riconosciuto dal Global Sustainable Tourism Council – premia le imprese che integrano sostenibilità ambientale e impatto sociale positivo. In Nuova Zelanda, il concetto di Tiaki Promise invita visitatori e residenti a farsi guardiani della terra, in una visione spirituale e collettiva della responsabilità.
Europa e Italia: modelli rigenerativi
Anche l’Europa sta ripensando il turismo in chiave rigenerativa. Un esempio paradigmatico è il South West Coast Path in Cornovaglia, dove ogni sterlina investita nella manutenzione genera fino a otto sterline di ritorno locale, oltre a oltre 9 milioni di visitatori annuali e 10mila posti di lavoro.
Il sentiero è anche un laboratorio culturale, con progetti artistici che coinvolgono le comunità costiere, celebrando storia, biodiversità e identità.
In Italia, esperienze come quella dell’albergo diffuso – nato in Friuli Venezia Giulia – mostrano come l’ospitalità possa essere inclusiva, non invasiva e generativa di valore, evitando lo spopolamento e promuovendo coesione sociale. Secondo uno studio Enit–Ipsos (2023), i cammini turistici italiani generano un reinvestimento locale del 65%, più del doppio rispetto al turismo di massa.
Affinché il lascito del turismo non rimanga una narrazione ispirazionale, è essenziale misurarlo. La recente proposta Sustainable Tourism Impact Framework dell’OECD (2024) propone un approccio multidimensionale che considera:
la percentuale di ricavi che resta sul territorio;
l’occupazione locale generata;
la partecipazione della comunità;
la percezione della qualità della vita post-sviluppo turistico.
Serve, altresì, una governance multilivello robusta, in grado di coordinare pubblico e privato, Stato e territori. La Banca Mondiale, nel report Tourism for Development (2023), ricorda che senza una regia chiara e partecipativa, i progetti socialmente sostenibili faticano a decollare.
Il turismo può – e deve – essere una leva di sviluppo sostenibile e di empowerment delle comunità, ma ciò non avviene in modo automatico. Serve visione sistemica, strumentazione adeguata, misurazione puntuale e modelli replicabili.
La sfida, oggi, non è più soltanto quella di attrarre visitatori, ma di garantire che ogni euro speso generi valore per chi quei territori li abita tutto l’anno. Solo allora potremo dire che il turismo ha lasciato una vera eredità: fatta di lavoro, bellezza, dignità, memoria e futuro.
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